La “rivelazione” del boss mafioso Graviano ai pm di Firenze: «Io e Berlusconi legati da un contratto di 20 miliardi»
Tra il boss mafioso e l’ex premier ci sarebbe stato un vero e proprio contratto scritto, come ha rivelato lo stesso Graviano in un interrogatorio dello scorso aprile
Sono durissime le accuse che il boss di Cosa Nostra Giuseppe Graviano ha lanciato al leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi. Dichiarazioni che vengono pubblicate da L’Espresso e che irrompono nel pieno della corsa al Quirinale per il Cavaliere. «Ci dica se Berlusconi è stato il mandante delle stragi», avevano chiesto i pm di Firenze a Graviano – capomafia condannato per le stragi e che non si è mai pentito – che aveva risposto così: «Non lo so se è stato lui». Poi, però, gli investigatori hanno omissato tutte le altre dichiarazioni del boss. Gli “omissis”, ora, sono contenuti nel verbale pubblicato da L’Espresso. Dopo il processo ‘Ndragheta stragista, infatti, Graviano è stato interrogato dai pm di Firenze che vogliono far luce sulle stragi del 1993. A Reggio Calabria il boss aveva sostenuto di essere entrato in affari con Silvio Berlusconi grazie al nonno che aveva compiuto investimenti negli anni ’70 a Milano e che avrebbe firmato un contratto . I suoi racconti sono ancora tutti da verificare e sono già stati smentiti dai legali dell’ex premier.
Il racconto del boss
«Mio nonno, Filippo Quartararo, che lavorava nel settore ortofrutticolo, mi raccontò che aveva conosciuto Silvio Berlusconi attraverso un tramite il cui nominativo non conosco; Berlusconi gli aveva chiesto di operare un investimento di 20 miliardi di lire per le sue attività, con l’intesa di una partecipazione al 20 per cento a tutte le attività ed ai proventi derivanti da tale investimento. Mio nonno non aveva questa cifra così esosa, ne ha parlato con mio papà. E allora si rivolse ad alcuni conoscenti coinvolgendoli nell’operazione. Mio nonno investì l’importo di quattro miliardi e mezzo di lire; le altre persone che investirono denaro insieme a lui erano Carlo Alfano, per l’importo di dieci miliardi di lire, poi Serafina, moglie di Salvatore Di Peri, Antonio La Torre detto Nino il pasticcere e Matteo Chiazzese, per l’importo residuo», ha raccontato il mafioso. A provare i presunti rapporti economici con Berlusconi ci sarebbe una “carta scritta”, ovvero una scrittura privata in cui sarebbe stata indicata non solo la somma investita ma anche l’impegno per Berlusconi di restituire quei soldi con gli interessi. A interrogarlo sono stati i magistrati di Firenze, Giuseppe Creazzo, Luca Turco e Luca Tescaroli.
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