Pfas nell’aria: dallo stabilimento ex Solvay di Spinetta oltre metà delle emissioni italiane

ALESSANDRIA – PFAS non solo nelle acque, ma anche nell’aria che respiriamo. A raccontarlo è l’ultima inchiesta dell’Unità Investigativa di Greenpeace Italia, che ha analizzato i dati del Registro europeo Pollutant Release and Transfer Register (PRTR), in cui sono raccolti i valori delle emissioni di oltre 4 mila stabilimenti industriali italiani. Queste strutture, si legge del report, sono soggette all’obbligo di dichiarazione in merito a diversi inquinanti, “il che rende possibile fotografare il livello di emissioni per varie sostanze a livello nazionale“.

Secondo l’analisi, nessuna regione è del tutto estranea al fenomeno (con l’eccezione statistica della Calabria, dove i dati non erano disponibili alla pubblicazione del report). Ma la sproporzione è netta: il 76% delle emissioni italiane di F-gas – 2.863 tonnellate in 16 anni – è registrato in Piemonte, soprattutto nel Comune di Alessandria. Il restante 24% è distribuito tra Veneto (specie area veneziana), Lombardia e Toscana. Quote più basse, sì, ma tutt’altro che irrilevanti se si guarda al peso assoluto e agli effetti sulla salute.


Alessandria e Spinetta Marengo: “il cuore del problema”

La spiegazione della “anomalia piemontese” per Greenpeace è una sola: lo stabilimento chimico di Spinetta Marengo, storicamente Solvay e oggi Syensqo, rimasto l’unico impianto italiano a produrre PFAS. Nel 2023 da solo ha generato il 55% dell’intero inquinamento nazionale legato ai gas fluorurati, evidenzia il dossier. E non si tratta di un picco isolato:  Greenpaece evidenzia che il primato dell’ex Solvay dura da 16 anni, con oltre metà delle emissioni italiane complessive imputabili allo stesso gruppo industriale.


Un calo delle emissioni è visibile a partire dal 2019-2020. Un trend che potrebbe essere dovuto in parte alla frenata produttiva legata alla pandemia, e in parte al percorso annunciato dall’azienda verso l’eliminazione progressiva dei fluorotensioattivi PFAS entro il 2026. Ma il problema resta attuale, perché la produzione a Spinetta non si è fermata: oggi lo stabilimento realizza un tensioattivo di nuova generazione, il C6O4, definito dall’azienda “non bioaccumulabile“.

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