A parte il professor Charles Hapgood, autore di
"Ancient Sea Kings", e i suoi sparuti seguaci, sostenitori
dell'esistenza di un'antica civiltà pre-diluviana che avrebbe raggiunto
un alto livello di sviluppo nell'arte della navigazione e della
cartografia, prima di venire spazzata via da un cataclisma circa 10.000
anni or sono (un po' come narra Platone, nel "Timeo" e nel "Crizia", la
fine di Atlantide), per gli storici e gli archeologi "ortodossi" non v'è
dubbio che i manufatti reperibili più a sud dell'intero pianeta sono
quelli degli antichi abitatori della Terra del Fuoco, all'estremità
meridionale del continente americano: fino a 55° gradi di latitudine
Sud, sul parallelo del Capo Horn.
E quel che dicono gli scienziati ortodossi è legge
nel mondo, apparentemente così pluralista, della cultura contemporanea
dominato, in realtà, da un paradigma tecno-scientifico che ha relegato
nell'area grigia delle culture marginali tutti quei saperi, quelle
teorie e persino quei fatti che hanno l'antipatica abitudine di non
lasciarsi collocare docilmente nel quadro rassicurante ove tutto ha una
spiegazione logica e funzionale al sistema stesso.
Ma
che cosa accadrebbe se si venisse a scoprire che l'uomo, l'uomo
civilizzato capace di costruire manufatti, insomma l'"homo abilis" era
presente molte centinaia di chilometri più a sud della Terra del Fuoco
(o della Tasmania, o delle Isole Auckland a mezzodì della Nuova Zelanda)
e che ha lasciato tracce tangibili della sua esistenza e della sua
inventiva oltre il Circolo Polare Antartico, nel Continente Bianco che
giace all'estremità meridionale della Terra?Continua qui
ALTRA DIMENSIONE...
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