mercoledì 12 maggio 2021

Denise Pipitone, l’ex pm: “Al 90% è la bambina vista a Milano”

Tre gli elementi che lo avrebbero portato a tali conclusioni: “La somiglianza fisica, il taglio che aveva sulla guancia sinistra e l’accento siciliano”

Non è la ragazza rintracciata a Scalea Denise Pipitone. Sulla scomparsa della piccola, avvenuta il 1° settembre 2004 a Mazara del Vallo, restano tanti punti interrogativi. E comunque, l’unica segnalazione ritenuta attendibile, anche e soprattutto perchè non è mai stata verificata/smentita realmente, è quella legata alla piccola Danas, una bambina molto somigliante a Denise, vista a Milano, in compagnia di alcuni rom. Nelle scorse ore, intervistato al programma tv “Storie Italiane” di Rai 1, l’ex procuratore capo di Marsala, Alberto di Pisa, ha ammesso che “al 90% la bambina vista a Milano è Denise Pipitone per tanti motivi: la somiglianza fisica, il taglio che aveva sulla guancia sinistra e l’accento siciliano”.

Continua qui


La sparizione di Denise Pipitone




venerdì 30 aprile 2021

Case a 1 euro nel borgo dei misteri

Acerenza è un piccolo borgo da scoprire nel cuore della Basilicata. Le ragioni sono molteplici, dalla bellezza naturalistica ai monumenti architettonici, fino ad arrivare a una serie di leggende, ottimo richiamo per i più appassionati di mistero. Si dice infatti che la storia del borgo, riconosciuto tra i più belli d’Italia, arroccato a 800 metri di quota tra le vette del potentino, si intrecci nientemeno che con quella del Sacro Graal. Si tramanda che il celebre calice si trovi celato dietro una finestra murata della Cattedrale del paese. E se ciò non bastasse per incuriosirvi, sappiate che nella medesima Cattedrale si racconta che sia custodita anche la salma della figlia del Conte Vlad III di Valacchia, il celebre Conte Dracula. Perché vi stiamo raccontando queste perle? Perché Acerenza ha di recente aderito al progetto nazionale “Case a 1 euro”.

Il Comune ha pubblicato sul sito ufficiale un bando di interesse rivolto ai cittadini, proprietari di immobili dismessi, che vogliano concedere in affitto simbolico a 1 € tali edifici.

“Hai un immobile nel centro storico che versa in condizioni di abbandono e sei stanco di pagare i tributi locali? – si legge sul sito –  Donagli una nuova vita”. 

Perché affittare le case a 1€?

Nel regolamento comunale “Adotta 1€entro storico – Case a 1 euro” vengono spiegate accuratamente le motivazioni che hanno spinto il Comune ad aderire all’iniziativa.

Continua qui

GLI AFFASCINANTI MISTERI DELLA CATTEDRALE DI ACERENZA




lunedì 26 aprile 2021

Doretta Graneris, una vita nascosta dopo aver sterminato la famiglia

Nel 1975 aveva 18 anni e insieme con il fidanzato uccise la madre, il padre, i nonni, il fratellino e il cane. Ora ha 64 anni, abita a Torino, fa l’impiegata e si è lasciata alle spalle l’incubo di quella sera nebbiosa

Soltanto le iniziali, sul citofono scuro, la lettera G e la lettera D, prima il cognome del nome come nei rapporti dei carabinieri. Superati tre gradini, la porta è la prima sulla sinistra, in un angolo buio del piano terra, quasi nascosto; la sottile striscia bianca all’interno del pulsante del campanello è l’unico elemento che differenzia l’ingresso da quello, subito a lato, della cantina, mentre in fondo al corridoio, sulla buca delle lettere, vuota al suo interno, il cognome è messo per intero, seppur a caratteri minuti, scritti a penna, in nero: «Graneris».
Interno numero…; via…; civico… Quando nel Duemila ottenne la libertà condizionata dopo venticinque anni di galera, Doretta Graneris chiese di sparire dal mondo. Siccome non bastò e qualunque giornalista si dannò per trovarla, allora lei fece dell’isolamento una regola di vita.

Essere la «belva di Vercelli» a 18 anni

Doretta Graneris, una vita nascosta dopo aver sterminato la famiglia

L’abbiamo infine scovata ma si sappia soltanto che adesso abita in un complesso di palazzi a Torino, tra i quartieri Barriera di Milano e Borgo Vittoria, ex periferia operaia e oggi come nel dopoguerra zona di forte immigrazione. Doretta aveva diciotto anni. La chiamarono la «belva di Vercelli», qualcuno la «bestia di Vercelli», e i parenti rimasti – meglio dire sopravvissuti –, alla sua uscita di prigione dissero che avrebbero preferito non vederla mai più nei paraggi, incarnava il demonio e la sua sola presenza veicolava il terrore. Anzi, che stesse lontano dalla città. La sera del 13 novembre 1975, insieme al fidanzato Guido Badini, di tre anni maggiore, un balordo perditempo patito di estrema destra e armi e prostitute – mai relazione sarebbe stata più fuori sincro, e infatti lei la sostenne, sbandierò e portò in casa –, Doretta, diplomata al liceo artistico, uccise a colpi di pistola il padre Sergio e la madre Itala, di 45 e 41 anni, i nonni materni Romolo e Margherita, di 79 e 76 anni, il fratello Paolo, 13 anni, e il cane di famiglia, che viveva nella villa degli orrori, un duraturo centro dell’attenzione dell’Italia intera incuriosita e sbigottita – del resto, una delle più ferali killer della nostra storia criminale –: via Caduti nei lager 9 appunto a Vercelli, cadaveri e sedie nel soggiorno ribaltate dinanzi alla televisione che trasmetteva uno spettacolo di Macario.


Continua qui



giovedì 22 aprile 2021

Caso Vannini, parla Federico Ciontoli: “Pronto a pagare ma non è andata come scritto dai giudici”

Abbiamo incontrato Federico Ciontoli, a pochi giorni dalla sentenza di Cassazione che dovrà decidere se è colpevole e deve andare in carcere. I giudici della Seconda Corte di Assise di Appello lo hanno condannato a 9 anni e 4 mesi di carcere per concorso anomalo in omicidio volontario per la morte di Marco Vannini.

Il 3 maggio la Cassazione potrebbe mettere la parola fine su uno dei casi di cronaca che più ha mobilitato l'opinione pubblica: l’omicidio di Marco Vannini. Due processi e un annullamento con rinvio richiesto dai giudici di piazza Cavour. La vicenda la conosciamo ormai tutti. La sera del 17 maggio 2015 Marco è a casa della fidanzata Martina a Ladispoli, sul litorale romano. Insieme a loro è presente il padre della ragazza Antonio, la madre Maria, il fratello Federico e la fidanzata di quest'ultimo Viola. Il giovane viene colpito da un colpo d'arma da fuoco mentre si trova nella vasca da bagno. A sparare è il suocero Antonio Ciontoli, che poi si difenderà prima dichiarando che l'arma gli sarebbe scivolata fino a poi ammettere di aver premuto il grilletto "per gioco" pensando fosse scarica. Il ritardo nei soccorsi, calcolato dai giudici come pari a 110 minuti, ha avuto un ruolo fondamentale per la sorte di Marco morto a soli 20 anni. "Gli imputati hanno messo in atto depistamenti" come la pulizia delle superfici delle pistole e del bossolo, della pulitura delle tracce di sangue e soprattutto nel luogo dove asseritamente era avvenuto il ferimento del giovane' e sono state ripetute le menzogne rivolte per circa 110 minuti ai soccorritori sia prima del loro intervento che al momento e che dopo",  hanno scritto i giudici della Seconda Corte di Assise di Appello nelle motivazioni che hanno portato a quattro condanne: 14 anni ad Antonio Ciontoli per omicidio volontario con dolo eventuale e 9 anni e 4 mesi alla moglie e ai due figli per concorso anomalo in omicidio volontario.

Abbiamo incontrato Federico Ciontoli, a pochi giorni dalla sentenza di Cassazione che dovrà decidere sulla sua colpevolezza, aprendo eventualmente per lui le porte del carcere. All'epoca dell'omicidio aveva 23 anni mentre oggi, alla soglia dei 30, attende il giudizio degli ermellini.

L'attesa della sentenza di Cassazione
"Non voglio sfuggire alle mie responsabilità, se la Cassazione sceglierà che io debba andare in carcere, ci andrò perché è giusto che sia così". Dice senza batter ciglio Federico Ciontoli. E spiega poi perché ha deciso di esporsi pubblicamente a quasi 6 anni dall'omicidio, sia sui social che attraverso questa intervista, perché pur sostenendo di volersi assumere le proprie responsabilità ritiene che la verità giudiziaria scritta finora dai giudici non corrisponda al vero: "Il motivo per cui sto raccontando è semplicemente perché mi sembra tutto assurdo, penso che sia importante raccontare come sono andate veramente le cose".

Il rumore dello sparo
Come è stato possibile non riconoscere il rumore di un colpo di pistola all'interno della stessa casa? Questa è una delle principali domande che in tanti, giornalisti e non, si sono posti seguendo l'inchiesta e il dibattimento in aula, tra perizie e controperizie. Un rumore forte che è stato udito anche dai vicini. Federico si difende affermando che non si è trattato di uno sparo standard. "In condizioni normali probabilmente sarebbe stato diverso ma stiamo parlando di un'arma maltenuta e con all'interno proiettili dell'82. Quando c'è stato lo sparo io mi trovavo in camera mia con Viola. Stavamo vedendo un film sul letto, la porta era chiusa e quando ho sentito quel rumore non ero neanche sicuro che provenisse da casa mia. Mi sono deciso ad alzarmi quando ho sentito subito un vociare provenire dal bagno".

Continua qui

domenica 18 aprile 2021

Cadavere decapitato nel Po, forse è lo scomparso Stefano Barilli. Il biglietto: “Mi sono suicidato”

Il tragico ritrovamento nel Po, sul versante lombardo a Caselle Landi tra le province di Lodi e Cremona. Nelle tasche della vittima sarebbero stati trovati i documenti personali e un biglietto che annunciava il suicidio. Potrebbe trattarsi di Stefano Barilli, il 23enne di Piacenza scomparso a febbraio. La sua storia si era intrecciata con quella di Alessandro Venturelli, 20enne di Sassuolo, di cui si sono perse le tracce a dicembre.

Potrebbe essere ad una svolta il giallo della scomparsa di Stefano Barilli, il 23enne piacentino che aveva fatto perdere le proprie tracce lo scorso 8 febbraio e la cui sparizione si era intrecciata con quella di Alessandro Venturelli, 20 anni, di Sassuolo, di cui si sono perse le tracce a dicembre 2020. Nella tarda mattina di ieri, 17 aprile, una cadavere decapitato è riaffiorato nel Po, sul versante lombardo a Caselle Landi tra le province di Lodi e Cremona. Sul posto sono giunti i carabinieri della stazione di Codogno e i vigili del fuoco di Lodi e Cremona per il recupero del corpo. Nelle tasche del pantalone gli inquirenti hanno trovato alcuni documenti che porterebbero a pensare che si possa trattare di Stefano Barilli. Come riporta Il Giorno, tra i vestiti del ragazzo ci sarebbe anche un biglietto con un messaggio per preannunciare il gesto estremo. Lo stato di decomposizione del corpo sarebbe peraltro compatibile con i tempi della scomparsa. Lunedì verrà effettuata l'autopsia per capire come è avvenuto il decesso.


Continua qui



giovedì 15 aprile 2021

LA MISTERIOSA ABBAZIA DI LUCEDIO E LE SUE LEGGENDE

Questa storia parla di possessioni demoniache, di un’abbazia i cui monaci furono liberati con un esorcismo e i loro corpi trasformati in mummie, di un sigillo che imprigiona Satana e di una chiave per poterlo liberare.

Dove’è il Principato di Lucedio?

Siamo nel comune di Trino, ai confini delle terre aleramiche del Monferrato Casalese, in Piemonte.

In mezzo a distese di campi coltivati a riso, anticamente chiamate grange, si specchia nelle basse e fertili acque il complesso monastico di Lucedio, fondato dai monaci cistercensi nell’anno 1123.

La storia del Principato di Lucedio

Ai confini estremi dell’allora Marchesato del Monferrato, questa confraternita di monaci godeva di pieni poteri e grandi libertà.
Fin da subito si distinse da ogni altra abbazia europea per il comportamento latifondista assunto dai monaci, che ben poco aveva a che spartire con i dogmi della Chiesa Romana.

Dopo la fondazione dell’abbazia, infatti,  furono i monaci cellerari a provvedere immediatamente, grazie alla forza lavoro di liberi agricoltori detti mercenari, all’occupazione e alla bonifica delle zone paludose circostanti (chiamate locez, da cui il nome Lucedio).

Poi, per non contravvenire alle regole imposte dalla Chiesa che impedivano la proprietà e lo sfruttamento diretto delle terre, gli scaltri monaci affidarono lotti di terreno a fratelli conversi laici (veri e propri latifondisti). Essi a loro volta si servivano del lavoro degli agricoltori mercenari per far fruttare le grange. Periodicamente i fratelli conversi versavano i tributi e una parte del ricavato del raccolto direttamente nelle casse dell’Abbazia.

Continua qui


lunedì 12 aprile 2021

La mummia egizia Takabuti uccisa da un colpo d'ascia

L'arma del delitto identificata dopo 2.600 anni

Potrebbe essere stato un colpo d'ascia inferto alle spalle da un soldato, e non una semplice coltellata, a uccidere 2.600 anni fa Takabuti, la donna della celebre mummia egizia conservata all'Ulster Museum di Belfast, in Irlanda del Nord. Lo suggeriscono i risultati delle ultime indagini scientifiche pubblicati in un libro dall'egittologa Rosalie David dell'Università di Manchester e dalla bioarcheologa Eileen Murphy della Queen's University di Belfast.

Analisi del Dna, tac, radiografie e datazione al radiocarbonio sono solo alcune delle tecniche a cui le ricercatrici hanno sottoposto la mummia per poter ricostruire i suoi ultimi istanti di vita. La donna, sposata e di famiglia altolocata nell'antica città di Tebe, godeva di buona salute quando fu uccisa ad un'età compresa fra i 20 e i 30 anni. La morfologia della ferita e l'angolo con cui l'arma del delitto è penetrata nel corpo lasciano intendere che Takabuti sia stata uccisa non da una coltellata come ipotizzato in passato, bensì da un'ascia di tipo militare con una lama semicircolare lunga circa 7 centimetri.

Continua qui


Meteo: altri temporali in vista tra lunedì 6 e giovedì 9 maggio

La stagione primaverile non ha alcuna intenzione di passare lo scettro a quella estiva. La primavera a maggio se c’è l’anticiclone diventa e...