Scoperto in Messico negli anni '30, il teschio dello Starchild (Figlio
delle Stelle) rappresenta ancora un enigma per gli studiosi. A partire
dal 1999, nell'ambito dello 'Starchild Project', l'insolito teschio è
stato sottoposto ad una serie di analisi anatomiche e biologiche che
hanno definitivamente escluso che si tratti del cranio di un individuo
umano affetto da una qualche deformità. C'è chi ipotizza che possa
trattarsi di un'antica specie umana non ancora conosciuta e chi crede
che lo Starchild possa essere il cranio di un ibrido umano-alieno.
In archeologia, quando ci si imbatte nella scoperta di un oggetto
sconosciuto, le prime indagini compiute dagli studiosi mirano a
stabilirne la provenienza.
Questa, ovviamente, è una fase molto importante e delicata perché aiuta a capire se ci si trova di fronte ad un falso.
Tuttavia, la scienza moderna, con il suo metodo e i suoi strumenti,
ha reso quasi impossibile simulare una reliquia come quella del teschio
dello Starchild.
Anche se la provenienza di questo curioso cranio non è del tutto
chiara, resta il fatto che esso esiste ed è reale, e ad oggi non esiste
nessuna spiegazione che possa svelarne la natura. La storia dello
Starchild comincia nel 1930.
Fu in quell’anno che un’adolescente americana, di origini messicane,
si recò in vacanza con la sua famiglia in Messico. Nel corso di una
visita in un piccolo villaggio nella regione messicana di Copper Canyon, la ragazzina cominciò ad esplorare da sola il territorio, scoprendo il tunnel di una vecchia miniera abbandonata.
All’interno della galleria trovò uno scheletro umano completo
sdraiato sulla schiena. Accanto ad esso c’era un’area di terreno smossa,
con quello che sembrava un osso umano spuntare dall’interno. Usando le
mani, la ragazzina portò alla luce quello che poi ha descritto come uno
scheletro più piccolo dell’altro e apparentemente deforme.
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domenica 30 aprile 2017
sabato 29 aprile 2017
"C'è un'altra Monna Lisa sotto la Gioconda"
E' l'ipotesi avanzata dallo scienziato francese Pascal Cotte
PARIGI - C'è la sagoma di un'altra Monna Lisa, con un pendente a perla e spilli nell'acconciatura dei capelli, sotto la Gioconda che si può ammirare al Museo del Louvre di Parigi. O meglio: sotto la vernice della pittura dell'opera più celebre di Leonardo da Vinci, che avrebbe iniziato a dipingere nel 1503, ci sono ben tre diverse stesure nascoste di un disegno della gentildonna, che presenta numerose varianti rispetto all'enigmatico sorriso che inquieta da quasi 500 anni.
LEGGI - Scoperta la tomba di Monna Lisa
E' questa l'ipotesi avanzata dallo scienziato francese Pascal Cotte, co-fondatore della società di ingegneria elettronica Lumiere Technology di Parigi, che nel 2004 ha avuto la possibilità di eseguire una serie di analisi non invasive sul dipinto, sperimentando una nuova tecnica chiamata Layer Amplification Method (Lam), come riferisce la Bbc, anticipando il documentario dal titolo The Secrets of the Mona Lisa che sarà trasmesso dalla rete televisiva britannica e che racconta dieci anni di ricerche.
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PARIGI - C'è la sagoma di un'altra Monna Lisa, con un pendente a perla e spilli nell'acconciatura dei capelli, sotto la Gioconda che si può ammirare al Museo del Louvre di Parigi. O meglio: sotto la vernice della pittura dell'opera più celebre di Leonardo da Vinci, che avrebbe iniziato a dipingere nel 1503, ci sono ben tre diverse stesure nascoste di un disegno della gentildonna, che presenta numerose varianti rispetto all'enigmatico sorriso che inquieta da quasi 500 anni.
LEGGI - Scoperta la tomba di Monna Lisa
E' questa l'ipotesi avanzata dallo scienziato francese Pascal Cotte, co-fondatore della società di ingegneria elettronica Lumiere Technology di Parigi, che nel 2004 ha avuto la possibilità di eseguire una serie di analisi non invasive sul dipinto, sperimentando una nuova tecnica chiamata Layer Amplification Method (Lam), come riferisce la Bbc, anticipando il documentario dal titolo The Secrets of the Mona Lisa che sarà trasmesso dalla rete televisiva britannica e che racconta dieci anni di ricerche.
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Tutti i misteri della Gioconda. E un’ipotesi sulla sua vera identità
La scienza svela il mistero dietro La Gioconda: risolto l'enigma sul sorriso
lunedì 24 aprile 2017
I soldati della Wehrmacht drogati con le metanfetamine
Un libro rivela: «I successi dell’esercito? Non ideologia ma doping» Gli storici Mommsen, decano degli storici del nazismo: «Cambia il quadro generale»
La Wehrmacht era un esercito di dopati. La formidabile macchina da guerra di Adolf Hitler vinceva grazie alle anfetamine. La tattica rivoluzionaria del Blitzkrieg e l’autosuggestione di essere gli indistruttibili guerrieri della razza ariana non spiegano da sole i successi dell’esercito nazista nei primi anni del conflitto. In realtà un ruolo determinante ebbe l’uso sistematico fra i ranghi di Pervitin, una pillola a base di metanfetamina brevettata nel 1937 da Theodor Temmler e distribuita regolarmente dai medici militari ai soldati.
A sfatare il mito dell’armata resa invincibile dall’ideologia
e dalla superiorità tecnica, è un nuovo libro che esce oggi in Germania
per i tipi di Kiepenheuer & Witsch. In Der totale Rausch. Drogen im
Dritten Reich , lo scrittore Norman Ohler, storico per caso, racconta
un capitolo poco conosciuto del Terzo Reich. Quello di un regime
superomistico dove moltissimi, dalla guida suprema alle casalinghe,
indulgevano nell’uso di stimolanti chimici.
Partito con l’idea di scrivere un romanzo,
una storia di abuso di droga ambientata nella Germania nazista, Ohler
ha fatto lunghe ricerche negli archivi di Friburgo e Coblenza. Nella
sede della Cia a Washington ha potuto leggere i protocolli degli
interrogatori del famigerato dottor Morell, il medico personale di
Hitler, che soprattutto negli anni di guerra tenne di fatto il dittatore
«sotto siringa», trasformandolo poco a poco in un tossicodipendente.
Così, dall’idea del romanzo l’autore è approdato al saggio.
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sabato 22 aprile 2017
I dieci misteri irrisolti delle Grotte artificiali di Longyou, Cina
Le Grotte Longyou sono una sistema di grandi caverne artificiali situate
nei pressi del villaggio di Shiyan Beicun, nella prefettura di Quzhou,
in Cina. Scoperte nel 1992, finora sono state individuate 36 grotte.
Considerando la loro origine artificiale, si tratta di grotte molto
grandi, con una superficie coperta che supera i 30 km². Chi le ha
costruite e soprattutto perché? Ecco i dieci misteri irrisolti delle
grotte di Longyou.
Situate nei pressi del villaggio di Shiyan Beicun nella provincia di Zhejiang, le Grotte di Longyou sono un magnifico e raro mondo sotterraneo, considerate in Cina come la ‘nona meraviglia del mondo’.
Queste affascinanti grotte artificiali, che si pensa risalgano ad almeno 2 mila anni fa, rappresentano una delle opere architettoniche sotterranee più grandi dei tempi antichi.
Scienziati e archeologi di tutto il mondo, però, non sono ancora riusciti a svelare i suoi segreti, lasciando senza risposta le domande su chi le abbia costruite e soprattutto perchè.
Il sistema di grotte è stato scoperto nel 1992 da un abitante del villaggio locale. Da allora sono state esplorate circa 36 cavità artificiali, per una superficie totale che super a 30 mila m². Le grotte sono state scavate nella siltite solida e ognuna di esse si inabissa ad una profondità di circa 30 m.
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Situate nei pressi del villaggio di Shiyan Beicun nella provincia di Zhejiang, le Grotte di Longyou sono un magnifico e raro mondo sotterraneo, considerate in Cina come la ‘nona meraviglia del mondo’.
Queste affascinanti grotte artificiali, che si pensa risalgano ad almeno 2 mila anni fa, rappresentano una delle opere architettoniche sotterranee più grandi dei tempi antichi.
Scienziati e archeologi di tutto il mondo, però, non sono ancora riusciti a svelare i suoi segreti, lasciando senza risposta le domande su chi le abbia costruite e soprattutto perchè.
Il sistema di grotte è stato scoperto nel 1992 da un abitante del villaggio locale. Da allora sono state esplorate circa 36 cavità artificiali, per una superficie totale che super a 30 mila m². Le grotte sono state scavate nella siltite solida e ognuna di esse si inabissa ad una profondità di circa 30 m.
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mercoledì 19 aprile 2017
Triangolo delle Bermuda: Nave ricompare 90 anni dopo la sua scomparsa.
Circa due giorni fa le autorità cubane hanno ritrovato una strana nave, nei pressi di una zona militare dell’Havana. Quando hanno cercato di comunicare con l’equipaggio, si sono resi conto che l’imbarcazione apparteneva a un’altra epoca, si tratta, infatti della Cotopaxi, un nome che i più esperti ricorderanno, associato al triangolo delle Bermuda.
La nave partì il 29 novembre 1925 dal porto di Charleston, South Carolina, diretta proprio verso Cuba, con un equipaggio di circa 30 uomini, oggi tutti scomparsi. La nave trasportava cotone, un enorme quantitativo di cotone e non arrivò mai a destinazione. Pochi giorni dopo, l’allora primo ministro cubano, Calamé, aprì un’inchiesta precisa, proprio per investigare sulla scomparsa della nave. Ma fino a due giorni fa, mai nessuno era riuscito a trovare qualcosa in merito a quella scomparsa, nonostante gli sforzi sia americani sia cubani.
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Triangolo delle Bermuda, svelato il ''mistero'' della nave riapparsa dopo 90 anni
domenica 16 aprile 2017
Le uova Fabergé, incredibili opere d’arte dal valore di milioni di dollari
Proviamo ad immaginarci la gioia e lo stupore che deve aver provato l’imperatrice russa Maria Fëdorovna quando, nel 1885, suo marito Alessandro III di Russia, le regalò come uovo di Pasqua (molto speciale) il primo uovo Fabergé…
Un uovo incredibile, ed incredibilmente prezioso; non certo fatto di cioccolato, ma realizzato e lavorato interamente a mano dal gioielliere e orafo russo Peter Carl Fabergé, facendo uso di oro, diamanti, rubini e tantissimi altri materiali preziosi. Un’opera d’arte di ineguagliabile bellezza!
Questo primo uovo Fabergé, così come quelli che seguiranno, fu sin da subito riconosciuto unanimemente come un’opera d’arte della gioielleria mondiale e fu denominato “Uovo con gallina” (un tuorlo tutto d’oro contenente una gallina con occhi di rubino): questo primo stravagante regalo fu solo l’inizio di una lunga serie di sempre più magnifiche e preziose “uova di Pasqua” (Fabergé fu nominato gioielliere di corte), e in totale, nel corso di poco più di tre decenni, furono commissionate e realizzate 52 uova Fabergé “imperiali” (realizzate dal 1885 al 1917) e 7 uova Fabergé commissionate dal nobiluomo russo Alexander Kelch per la moglie Barbara (realizzate dal 1898 al 1904).
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venerdì 14 aprile 2017
Un uomo morto per un’ora racconta di essere stato nell’aldilà
Questa è l'incredibile storia di un uomo americano ritornato in vita
dopo essere tecnicamente morto per quasi un ora. Quando ormai i medici
avevano interrotto ogni tentativo per rianimarlo, l'uomo ha scioccato
tutti ritornando in vita. Ma ciò che più sconcerta è il racconto di ciò
che ha visto dall'altra parte.
Brian Miller, 41 anni, è un camionista dell’Ohio. Mentre era intento ad aprire un contenitore, si è reso conto che c’era qualcosa che non andava.
L’uomo ha immediatamente chiamato la polizia. “Sono un autista di camion e penso che sto avendo un attacco di cuore”, ha detto all’operatore.
Miller è stato prelevato da un ambulanza e subito ricoverato in un ospedale locale dove i medici sono riusciti ad arginare l’attacco cardiaco.
Ma dopo aver ripreso conoscenza e sentire alleviare il dolore, l’uomo ha sviluppato una fibrillazione ventricolare, una aritmia cardiaca rapidissima, caotica che provoca contrazioni non coordinate del muscolo cardiaco dei ventricoli nel cuore.
Il risultato è che la gittata cardiaca cessa completamente. La fibrillazione ventricolare è uno dei quattro tipi di arresto cardiaco.
«Non c’era battito cardiaco, non c’era pressione sanguigna e non c’era polso», racconta l’infermiera Emily Bishop a fox8.com. I medici hanno cercato di rianimarlo, tentando per quattro volte di riportarlo in vita, ma Miller sembrava ormai senza speranza.
È a partire da questo momento che Miller ha raccontato di essere scivolato via in un mondo celeste. «L’unica cosa che mi ricordo è che ho cominciato a vedere la luce e a camminare verso di essa», racconta Brian.
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Brian Miller, 41 anni, è un camionista dell’Ohio. Mentre era intento ad aprire un contenitore, si è reso conto che c’era qualcosa che non andava.
L’uomo ha immediatamente chiamato la polizia. “Sono un autista di camion e penso che sto avendo un attacco di cuore”, ha detto all’operatore.
Miller è stato prelevato da un ambulanza e subito ricoverato in un ospedale locale dove i medici sono riusciti ad arginare l’attacco cardiaco.
Ma dopo aver ripreso conoscenza e sentire alleviare il dolore, l’uomo ha sviluppato una fibrillazione ventricolare, una aritmia cardiaca rapidissima, caotica che provoca contrazioni non coordinate del muscolo cardiaco dei ventricoli nel cuore.
Il risultato è che la gittata cardiaca cessa completamente. La fibrillazione ventricolare è uno dei quattro tipi di arresto cardiaco.
«Non c’era battito cardiaco, non c’era pressione sanguigna e non c’era polso», racconta l’infermiera Emily Bishop a fox8.com. I medici hanno cercato di rianimarlo, tentando per quattro volte di riportarlo in vita, ma Miller sembrava ormai senza speranza.
È a partire da questo momento che Miller ha raccontato di essere scivolato via in un mondo celeste. «L’unica cosa che mi ricordo è che ho cominciato a vedere la luce e a camminare verso di essa», racconta Brian.
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giovedì 6 aprile 2017
Elvis Presley è ancora vivo, almeno fino a qualche anno fa
Il re del rock and roll ancora vivo, tante le testimonianze del suo allontanamento volontario dal mondo dello spettacolo.
L’indimenticato re del rock and roll, Elvis Presley potrebbe essere ancora vivo, è sicuro secondo numerose testimonianze, The King è deceduto nel lontano 1977 fu trovato nel bagno di casa sua dall’allora fidanzata Ginger Alden.
Il cantante era deceduto, come riporterà il referto, per un presunto attacco cardiaco, anche se in futuro sarebbero state anche altre le teorie sul vero motivo della morte, in seguito infatti pare sia stato constatato un rigurgito del suo stesso vomito, dovuto ad un improvviso collasso cardiaco, questa la testimonianza del suo medico personale.
C’è da sottolineare che Elvis Presley all’epoca della morte era arrivato a pesare circa 158 kg, nonostante la pressione dei suoi medici sull’assunzione di cibi più nutrienti e adatti ad una possibile dieta alimentare idonea.
Il medico personale di Elvis alcuni anni dopo rilasciò un’intervista nella quale rivelava alcuni particolari interessanti della vita del cantante, pare infatti che Elvis era quasi ossessionato dall’idea di avere un figlio maschio e che lo avrebbe voluto con la sua nuova compagna di allora.
La sua ultima compagna aveva confermato, successivamente, che il cantante era particolarmente legato alle dipendenze, non solo dai farmaci ma soprattutto dal cibo che mangiava tanto da arrivare a mangiare per un anno intero, sempre le stesse pietanze.
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L’indimenticato re del rock and roll, Elvis Presley potrebbe essere ancora vivo, è sicuro secondo numerose testimonianze, The King è deceduto nel lontano 1977 fu trovato nel bagno di casa sua dall’allora fidanzata Ginger Alden.
Il cantante era deceduto, come riporterà il referto, per un presunto attacco cardiaco, anche se in futuro sarebbero state anche altre le teorie sul vero motivo della morte, in seguito infatti pare sia stato constatato un rigurgito del suo stesso vomito, dovuto ad un improvviso collasso cardiaco, questa la testimonianza del suo medico personale.
C’è da sottolineare che Elvis Presley all’epoca della morte era arrivato a pesare circa 158 kg, nonostante la pressione dei suoi medici sull’assunzione di cibi più nutrienti e adatti ad una possibile dieta alimentare idonea.
Il medico personale di Elvis alcuni anni dopo rilasciò un’intervista nella quale rivelava alcuni particolari interessanti della vita del cantante, pare infatti che Elvis era quasi ossessionato dall’idea di avere un figlio maschio e che lo avrebbe voluto con la sua nuova compagna di allora.
La sua ultima compagna aveva confermato, successivamente, che il cantante era particolarmente legato alle dipendenze, non solo dai farmaci ma soprattutto dal cibo che mangiava tanto da arrivare a mangiare per un anno intero, sempre le stesse pietanze.
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martedì 4 aprile 2017
Caverna delle Arene Candide
Teschio |
Nel 1940 Luigi Bernabò Brea, soprintendente archeologo della Liguria, ha cominciato a scavare utilizzando il metodo stratigrafico nella parte più orientale della grotta, in una zona non intaccata dagli scavi ottocenteschi.
I successivi scavi hanno messo in luce un deposito dello spessore di oltre otto metri databile tra l'età tardo-romana e il Paleolitico Superiore (25000 anni fa).
Le evidenze più significative sono date da oltre 20 sepolture di individui: tali sepolture si trovano in una zona interna della grotta in un livello datato a circa 11.600 anni fa. I corpi sono nella maggior parte dei casi allungati sulla schiena, in una fossa e l'ocra è presente in abbondanza. I corredi sono generalmente ricchi e si compongono di ornamenti di conchiglie marine e d'osso, pochi manufatti di selce, blocchetti d'ocra, arti e altre parti del corpo dei piccoli mammiferi e uccelli.
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domenica 2 aprile 2017
Marilyn Monroe: l'ultimo mistero
Ricostruita la vita della diva che sarebbe stata uccisa perché avrebbe rivelato alcuni segreti presidenziali.
Il video
domenica 26 marzo 2017
IL DNA UMANO POTREBBE ESSERE DI ORIGINE EXTRATERRESTRE
La struttura del DNA umano è stata sempre oggetto di perpeplessità da parte degli scienziati, in quali non riescono ancora a fornire una risposta coerente, sulla sua origine e sul perchè si differenzi sensibilmente dal DNA di altre specie viventi.
Le difficoltà interpretative
hanno indotto alcuni studiosi a ritenere che il nostro DNA non ha
origini terrestri bensì aliene o, per così dire, extraterrestri.
Gli esperti dichiarano: “Prima o poi …
dobbiamo accettare il fatto che tutta la vita sulla Terra porta con se
il codice genetico dei nostri cugini extraterrestri e che l’evoluzione
non è quello che noi pensiamo che sia.” Secondo gli scienziati che hanno
speso più di 134 anni di lavoro sul genoma umano, il DNA umano è stato
progettato da civiltà aliene avanzate.
Questo è quando sostengono alcuni scienziati provenienti da Kazakistan,
che appunto dopo anni di ricerche, sono arrivati alla conclusione che
la nostra specie è stata creata e progettata da una ‘civiltà superiore’.
Gli esperti ritengono che i nostri ‘creatori’ hanno voluto conservare
un messaggio all’interno del nostro DNA o semplicemente la vita animale
e vegetale su altri pianeti.
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venerdì 24 marzo 2017
Il caso O.J. Simpson
Il caso O. J. Simpson è un fatto di cronaca nera avvenuto negli Stati Uniti d'America nel 1994 e il relativo processo penale (ufficialmente People of the State of California v. Orenthal James Simpson) condotto presso la Corte Superiore della Contea di Los Angeles, in California.
Il noto giocatore di football americano O. J. Simpson fu accusato dell'omicidio dell'ex moglie Nicole Brown Simpson e del cameriere Ronald Lyle Goldman, avvenuto il 12 giugno del 1994.
Al termine della vicenda giudiziaria, descritto come il processo penale più pubblicizzato della storia americana, il verdetto emesso il 3 ottobre 1995 ha assolto dalle accuse Simpson.
Nicole Brown e O. J. Simpson si sono sposati il 2 febbraio del 1985, cinque anni dopo il suo ritiro dal football americano professionistico. La coppia aveva due figli, Brooke Sydney Simpson (nata il 17 ottobre 1985) e Justin Ryan Simpson (nato il 6 agosto 1988). Il matrimonio è durato sette anni, durante i quali Simpson è stato accusato di violenze coniugali nel 1989. La Brown aveva quindi chiesto il divorzio il 25 febbraio 1992, citando "differenze inconciliabili".
Secondo le prime ricostruzioni, Nicole, che era andata a cena con la madre al vicino ristorante Mezzaluna, aveva telefonato al locale per segnalare che la madre aveva dimenticato sul tavolo i suoi occhiali da sole: dopo averli ritrovati, Ron Goldman, che lavorava lì come cameriere, si era offerto di riportarglieli.
I cadaveri erano a terra in un lago di sangue: la donna aveva ricevuto 12 coltellate e aveva la testa quasi mozzata,[1] oltre a ferite da difesa sulle mani. La ferita attraverso il collo l'aveva lasciata a bocca aperta, attraverso la quale si poteva vedere la laringe, e anche la vertebra C3 è stata incisa. Sul corpo del giovane vennero rinvenuti i segni di 20 coltellate.[1] Entrambe le vittime erano morte diverse ore prima di essere state scoperte.
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O.j. Simpson di nuovo a processo |
Il noto giocatore di football americano O. J. Simpson fu accusato dell'omicidio dell'ex moglie Nicole Brown Simpson e del cameriere Ronald Lyle Goldman, avvenuto il 12 giugno del 1994.
Al termine della vicenda giudiziaria, descritto come il processo penale più pubblicizzato della storia americana, il verdetto emesso il 3 ottobre 1995 ha assolto dalle accuse Simpson.
Il matrimonio Brown-Simpson
Nicole Brown e O. J. Simpson si sono sposati il 2 febbraio del 1985, cinque anni dopo il suo ritiro dal football americano professionistico. La coppia aveva due figli, Brooke Sydney Simpson (nata il 17 ottobre 1985) e Justin Ryan Simpson (nato il 6 agosto 1988). Il matrimonio è durato sette anni, durante i quali Simpson è stato accusato di violenze coniugali nel 1989. La Brown aveva quindi chiesto il divorzio il 25 febbraio 1992, citando "differenze inconciliabili".
L'omicidio
Alle 00:10 del 13 giugno 1994, Nicole Brown Simpson e il venticinquenne Ronald Lyle Goldman furono trovati uccisi fuori dal condominio di lei, all'875 di South Bundy Drive, nella zona di Brentwood.Secondo le prime ricostruzioni, Nicole, che era andata a cena con la madre al vicino ristorante Mezzaluna, aveva telefonato al locale per segnalare che la madre aveva dimenticato sul tavolo i suoi occhiali da sole: dopo averli ritrovati, Ron Goldman, che lavorava lì come cameriere, si era offerto di riportarglieli.
I cadaveri erano a terra in un lago di sangue: la donna aveva ricevuto 12 coltellate e aveva la testa quasi mozzata,[1] oltre a ferite da difesa sulle mani. La ferita attraverso il collo l'aveva lasciata a bocca aperta, attraverso la quale si poteva vedere la laringe, e anche la vertebra C3 è stata incisa. Sul corpo del giovane vennero rinvenuti i segni di 20 coltellate.[1] Entrambe le vittime erano morte diverse ore prima di essere state scoperte.
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martedì 21 marzo 2017
Rivive il fantasma di Giuditta la bella impiccata
APOLLONIA STRIANO
Il poeta Alfonso Gatto affermava che «nel Sud i fantasmi sono innocenti. Se hanno subito un torto, se furono esposti all'offesa o colti dall'insidia ignari nel sonno, il loro ritorno nei tempi e sui luoghi ha il segno di questa pace turbata che essi cercano di ricomporre. Se vanno in cerca di pace e di quiete, come possono turbarci?» Da questa riflessione è stato tratto il suggestivo titolo dell'ultimo romanzo (edito da Rogiosi) di Maria Gargotta, studiosa di letteratura e scrittrice, che si sviluppa tra gli elementi del giallo, del noir, del fantastico. A suo modo, innocente è il fantasma della bellissima Giuditta Guastamacchia, realmente giustiziata nel 1800 per aver progettato e fatto compiere il cruento delitto del giovane marito. Il vero caso della "impiccata della Vicaria", le cui carte processuali furono distrutte in epoca borbonica, è rimasto a lungo sedimentato nell'immaginario dei napoletani. E tuttavia la storia di questa donna spietata e affascinante, capace di piegare al suo volere gli uomini incontrati nella sua vita, si presta ad altre possibili letture. Su questa vicenda si è innestata l'invenzione narrativa della Gargotta, che si è spinta ad indagare le ragioni della ferocia di Giuditta, fino a ricostruire il suo possibile passato. Ne ha immaginato il tormentato fantasma, che, incapace di staccarsi dai luoghi della sua tragedia, interloquisce, silenzioso e perentorio, con gli avvocati e i magistrati che si avvicendando in Castel Capuano.
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Il poeta Alfonso Gatto affermava che «nel Sud i fantasmi sono innocenti. Se hanno subito un torto, se furono esposti all'offesa o colti dall'insidia ignari nel sonno, il loro ritorno nei tempi e sui luoghi ha il segno di questa pace turbata che essi cercano di ricomporre. Se vanno in cerca di pace e di quiete, come possono turbarci?» Da questa riflessione è stato tratto il suggestivo titolo dell'ultimo romanzo (edito da Rogiosi) di Maria Gargotta, studiosa di letteratura e scrittrice, che si sviluppa tra gli elementi del giallo, del noir, del fantastico. A suo modo, innocente è il fantasma della bellissima Giuditta Guastamacchia, realmente giustiziata nel 1800 per aver progettato e fatto compiere il cruento delitto del giovane marito. Il vero caso della "impiccata della Vicaria", le cui carte processuali furono distrutte in epoca borbonica, è rimasto a lungo sedimentato nell'immaginario dei napoletani. E tuttavia la storia di questa donna spietata e affascinante, capace di piegare al suo volere gli uomini incontrati nella sua vita, si presta ad altre possibili letture. Su questa vicenda si è innestata l'invenzione narrativa della Gargotta, che si è spinta ad indagare le ragioni della ferocia di Giuditta, fino a ricostruire il suo possibile passato. Ne ha immaginato il tormentato fantasma, che, incapace di staccarsi dai luoghi della sua tragedia, interloquisce, silenzioso e perentorio, con gli avvocati e i magistrati che si avvicendando in Castel Capuano.
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giovedì 16 marzo 2017
Il grande intrigo
Il caso Moro
Sono stati - e sono destinati a restare - i 55 giorni più misteriosi dell’intera storia dell’Italia repubblicana. Ancora oggi, a distanza di trentanove anni, soltanto rievocare il caso Moro vuol dire preparasi ad entrare in un ramificato tunnel di segreti e interrogativi, di domande senza risposta e di inconfessabili trame. Il tempo che corre non solo ci allontana dalla completa verità sulla strage di via Fani, la lunga detenzione di un uomo politico di primo piano e la sua orrenda fine, ma rende tutto più complesso. Il trascorrere degli anni che sempre più ci fa apparire lontano quel tragico evento, anziché semplificare il quadro di insieme della vicenda, tende ad aggiungere nuovi tasselli ad un mosaico che appare ormai infinito. Aldo Moro, presidente della DC, per almeno vent’anni personaggio centrale della politica italiana, viene sequestrato da un commando delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, alla vigilia del voto parlamentare che – per la prima volta dal 1947 - sancisce l’ingresso del partito comunista nella maggioranza di governo. Per rapirlo la sua scorta, composta da cinque uomini, viene sterminata.
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Sono stati - e sono destinati a restare - i 55 giorni più misteriosi dell’intera storia dell’Italia repubblicana. Ancora oggi, a distanza di trentanove anni, soltanto rievocare il caso Moro vuol dire preparasi ad entrare in un ramificato tunnel di segreti e interrogativi, di domande senza risposta e di inconfessabili trame. Il tempo che corre non solo ci allontana dalla completa verità sulla strage di via Fani, la lunga detenzione di un uomo politico di primo piano e la sua orrenda fine, ma rende tutto più complesso. Il trascorrere degli anni che sempre più ci fa apparire lontano quel tragico evento, anziché semplificare il quadro di insieme della vicenda, tende ad aggiungere nuovi tasselli ad un mosaico che appare ormai infinito. Aldo Moro, presidente della DC, per almeno vent’anni personaggio centrale della politica italiana, viene sequestrato da un commando delle Brigate Rosse il 16 marzo 1978, in via Fani a Roma, alla vigilia del voto parlamentare che – per la prima volta dal 1947 - sancisce l’ingresso del partito comunista nella maggioranza di governo. Per rapirlo la sua scorta, composta da cinque uomini, viene sterminata.
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Il 9 maggio 1978 fu ritrovato il corpo dello statista democristiano in via Caetani a Roma. Ma sulla sua morte ci sono ancora troppe cose da chiarire |
domenica 12 marzo 2017
Il Ponte del diavolo è un cerchio perfetto su un fiume della Sassonia
Noemi Penna
Siamo nell'Azalea and Rhododendron Park Kromlau, nel cuore della Sassonia, e questo ponte è stato appositamente costruito per creare un cerchio perfetto quando si riflette in acqua. E' stato commissionato nel 1860 dal cavaliere Friedrich Hermann Rotschke ed è stato costruito con il basalto dalle cave svizzere.
Rotschke era proprietario dell’intera zona ed è stato sempre lui a finanziare l'intero parco, dove ha fatto piantare migliaia di esemplari di azalee e rododendri che sbocciano ancora oggi, sempre nel mese di maggio. Avendo dei gusti ben diversi dai suoi contemporanei, il cavaliere non volle un ponte usale, bensì un passaggio senza passamano né barriere, decisamente diverso dalle tipologie architettoniche ottocentesche.
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C'è un misterioso cerchio di ghiaccio che ruota in un fiume
mercoledì 8 marzo 2017
I delitti del mostro di Foligno
E' domenica pomeriggio. Domenica 4 ottobre 1992. Il piccolo Simone Allegretti,
quattro anni, figlio del gestore di un distributore di benzina,
scompare a Maceratola, nella campagna tra Foligno e Bevagna, in Umbria.
Comincia una disperata ricerca ed un dramma, quello che vedrà come
protagonista il cosidetto mostro di Foligno, destinato a concludersi
soltanto nove mesi dpo con un bilancio atroce: due bambini assassinati.
Il cadavere di Simone,
nudo, coperto di sangue, soffocato e poi accoltellato alla gola, viene
trovato due giorni dopo in una scarpata nei boschi del folignate. Poco
prima, in una cabina telefonica di Foligno, era stato trovato un
biglietto: lo firma “Il mostro”, è scritto con il normografo su di un foglio bianco.
Dice: “Aiuto!
Aiutatemi per favore. Il 4 ottobre ho commesso un omicidio. Sono
pentíto ora anche se non mi fermerò qui. Il corpo di Simone si trova
vicino alla strada che collega Casale (fraz. di Foligno) e Scopoli. E’
nudo e non ha l'orologio con cinturino nero e quadrante bianco”.
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lunedì 6 marzo 2017
Il delitto dell'uomo in blu
Il corpo di Christa Wanninger, una giovane ragazza
tedesca di 23 anni, trafitto da venti coltellate, viene trovato il 2
maggio del 1963 a Roma, al quarto piano di uno stabile in via Emilia, a
pochi passi da via Veneto e proprio sull'ingresso dell'abitazione di
una amica della vittima, Gerda Hoddap. Per anni viene ricercato, quale
responsabile del delitto, un misterioso ''uomo in blu'', incontrato da
diversi inquilini mentre scendeva le scale.
Dieci mesi dopo il delitto, quando
le indagini non riescono ad avere uno sbocco, un giornalista del
quotidiano Momento sera, riceve una telefonata da uno sconosciuto, poi
identificato per il pittore Guido Pierri, che gli offre clamorose
rivelazioni sul delitto in cambio di cinque milioni di lire.
Pierri viene fermato dalla polizia
ed accusato di tentativo di estorsione. Nella sua abitazione, durante
una perquisizione, viene però trovato un diario sul quale era stato
descritto un delitto che aveva straordinari punti di coincidenza con
l'uccisione della Wanninger. Ma per il momento il pittore viene
giudicato e condannato soltanto per il tentativo di estorsione.
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domenica 5 marzo 2017
1955 La decapitata di Castelgandolfo
Antonietta Longo (Archivio Il Messaggero) |
Correva l'anno 1955. Il 10 luglio,
sulle rive del lago di Castelgandolfo – da sempre residenza estiva
papale – sotto un tappeto di giornali recanti la data di cinque giorni
prima, viene scoperto il cadavere nudo di una donna, età indefinibile,
compresa – stabilirono i periti (sbagliando) - tra i 18 e i 26 anni,
statura approssimativa: 1 metro e 60. Unico segno di riconoscimento: un
orologino da polso marca Zeus. Null'altro: neppure la testa.
Comincia così uno dei più misteriosi casi di nera della storia italiana del dopoguerra. La storia della decapitata di Castelgandolfo.
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sabato 4 marzo 2017
Irlanda, confermata la presenza di 800 bimbi sepolti nell’istituto delle suore di Tuam
La struttura era gestita dalle religiose del Bon Secour ed è stata attiva tra il 1925 e il 1961. La ministra dell'Infanzia Katherine Zappone: "Prima avevamo soltanto dei sospetti. Ora abbiamo la certezza"
Tutto è partito dai documenti rinvenuti dalla ricercatrice Catherine Corless sulle morti infantili presso la struttura di Tuam, nella contea di Galway. Aveva scoperto una fossa comune con i cadaveri di centinaia di feti, neonati e bambini. E oggi arriva la conferma della Commission on Mother and Baby Homes, che ha svolto l’inchiesta sulle case per ragazze madri e orfani gestite da religiose.
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venerdì 3 marzo 2017
Medjugorje, Monsignor Peric: le apparizioni non sono autentiche
Medjugorje divide la Chiesa fra scettici e mistici: le apparizioni della Vergine potrebbero essere manipolazioni a scopo di lucro.
Gli aspetti più trascendentali della religione e le esperienze visionarie dei fedeli sono senz’altro appassionanti. La mancanza di una spiegazione conosciuta di miracoli e apparizioni ci destabilizza sempre un po’ e contribuisce a creare uno zoccolo duro di persone pronte a seguire i presunti segnali divini senza troppe obiezioni.
Non è un caso dunque che i luoghi di culto permeati da tanto misticismo come Medjugorje siano ogni anno meta di migliaia di pellegrini che cercano risposte, segni di Dio o della Madonna. Le apparizioni nella cittadina bosniaca sembra siano iniziate nel 1981, il 24 giugno per l’esattezza. Da allora le testimonianze dei fedeli che sono entrati in contatto con la Vergine sono arrivate a sei. Il clima però non è del tutto conciliante, tanto che il Papa ha deciso di inviare un messo per conoscere la situazione pastorale della diocesi di Mostar, il cui vescovo è lo scettico Ratko Peric.
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giovedì 2 marzo 2017
La morte di Wilma Montesi, il primo delitto mediatico
Il luogo dove venne trovato il cadavere di Wilma Montesi |
Sabato 11 aprile 1953, vigilia di Pasqua. Il
cadavere di Wilma Montesi, 21 anni, una bella ragazza romana, viene
trovato sulla spiaggia di Torvajanica, in località Capocotta, una zona
balneare non distante da Roma. Il corpo non presenta segni di violenza
ed è completamente vestito (se non fosse per la mancanza di un
reggicalze, delle calze e delle scarpe). Le cause della morte non sono
chiare: l’autopsia parla, genericamente - e quindi sollevando mille
sospetti - di una sincope dovuta ad un pediluvio.
Di famiglia modesta, ma tranquilla, Wilma Montesi era fidanzata e stava preparandosi al matrimonio. Testimoni raccontano di aver visto la ragazza sul trenino che collega Roma ad Ostia, un’altra località balneare, ma distante alcuni chilometri da Torvajanica. Difficile spiegare come il cadavere della ragazza abbia percorso quella distanza. La spiegazione che tentano gli investigatori - anche questa piuttosto alambiccata - parla di un gioco di correnti marine. E non fa altro che alimentare altri sospetti.
Trascorrono alcuni mesi, la vicenda è quasi dimenticata quando un piccolo settimanale scandalistico, Attualità , diretto da un giovane giornalista, Silvano Muto, il 6 ottobre 1953 riporta a galla, in forma generica, un intrigo di sospetti e di accuse che in primavera, attorno al mistero di Torvajanica, aveva attraversato le redazioni di diversi quotidiani, senza mai trovare lo sbocco della pubblicazione. Si trattava, infatti, solo di voci create ad arte: Wilma Montesi sarebbe morta, forse per overdose di droga, forse per un semplice malore, durante un’orgia, in una villa del marchese Ugo Montagna, alla quale avrebbe preso parte il musicista Piero Piccioni, figlio di un importante notabile democristiano, il già ministro degli Esteri Attilio Piccioni, destinato ad ereditare da Alcide De Gasperi la leadership della Democrazia Cristiana, il più importante partito di governo.
Da questo momento il caso Montesi non è più un caso giudiziario, ma diventa un affare politico: dietro la morte della ragazza si scatena la più grande faida mediatico-politica per la conquista del potere interno alla DC.
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martedì 28 febbraio 2017
C’è un complotto mondiale? Sì, è un troll!
Ormai dall’11 settembre, ogni qualvolta il mondo è scosso da un
avvenimento sconvolgente tanto quanto mediatico, si alzano sempre più
rapide e prive di fondamento le voci del complottismo. Non è sbagliato
l’atteggiamento di cautela e oculata selezione delle informazioni e
delle versioni “ufficiali” di tali avvenimenti, naturalmente, ma la
frammentazione in ipotesi sempre più balzane delle possibili versioni
dei fatti, non può che fare comodo a un potere che (non sempre) ha la
necessità di nascondere verità scomode, come lo sfruttamento dell’uomo,
delle risorse umane e certi contatti diplomatici internazionali. Perché
se è chiaro che tutto è stato nascosto molto bene nei casi di Ustica,
piazza Fontana o Ilaria Alpi, non possiamo pretendere che dietro a ogni
avvenimento ci sia una cospirazione. Questa si chiama paranoia.
Non intendo qui parlare male del complottismo tout-court, anzi vorrei difendere chi analizza in modio serio e circostanziano, non parziale, le informazioni disponibili. Ma mi pare necessario denunciare e mettere in guardia sia i complottisti seri, sia i non complottisti (i cosiddetti “mainstream”), che da qualche anno si sta diffondendo in rete la presenza di troll (vedere definizione su wikipedia), quindi falsi complottisti in cerca di polemiche e visualizzazioni fini a se stesse che non fanno che diffondere le tesi di faziosi complottisti d’assalto (che del resto sono anche loro stessi Troll, in quanto il loro scopo è focalizzare l’attenzione mediatica su se stessi, le loro “non teorie” e le loro pubblicazioni a scopo di lucro).
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Non intendo qui parlare male del complottismo tout-court, anzi vorrei difendere chi analizza in modio serio e circostanziano, non parziale, le informazioni disponibili. Ma mi pare necessario denunciare e mettere in guardia sia i complottisti seri, sia i non complottisti (i cosiddetti “mainstream”), che da qualche anno si sta diffondendo in rete la presenza di troll (vedere definizione su wikipedia), quindi falsi complottisti in cerca di polemiche e visualizzazioni fini a se stesse che non fanno che diffondere le tesi di faziosi complottisti d’assalto (che del resto sono anche loro stessi Troll, in quanto il loro scopo è focalizzare l’attenzione mediatica su se stessi, le loro “non teorie” e le loro pubblicazioni a scopo di lucro).
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Chi è davvero Adam Kadmon?
sabato 25 febbraio 2017
Filippine, spunta 'mostro' marino: la carcassa è un mistero scientifico
Una creatura misteriosa, forse una balena o
un dugongo in decomposizione, è apparsa nel mare delle Filippine. Il
mammifero, lungo più di sei metri, è stato ritrovato a Cadainao,
nell'isola di Dinagat. Le immagini sono diventate immediatamente virali
nell'arcipelago asiatico perché una leggenda locale lega la comparsa di
animali marini misteriosi a un imminente terremoto.
Video
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giovedì 23 febbraio 2017
Paesi fantasma e villaggi abbandonati parte VII: Reneuzzi
Dossier Villaggi fantasma Parte VII.
Questa volta parliamo di un paese nella parte più remota della Val Borbera, in provincia di Alessandria, ma non lontano dal confine ligure e da luoghi di cui abbiamo già parlato per altri motivi (come la Val Boreca). Si tratta di uno dei molti paesi abbandonati dell’Appennino, ma le sue particolarità lo differenziano dalla maggioranza degli altri paesi, sia perché si tratta di un paese con tanto di chiesa e cimitero (e quindi non una semplice frazione), ma soprattutto perché il suo nome è legato a un tragico fatto di cronaca sanguinario e alle apparizioni di un fantasma.
Stiamo parlando di Reneuzzi. Renèuzi, Renèusi o Renéixi in dialetto, si tratta di uno dei tanti paesi svuotati a causa dell’immigrazione del Secondo dopoguerra degli abitanti verso le città (o l’America) a causa del boom economico italiano e la nuova spinta industriale. Il paese conta quattro famiglie dopo il 1945, nel 1954 sono rimasti 18 abitanti, nel 1960 se ne contano solo 4. Tra questi c’è Davide Bellomo, un trentenne, probabilmente fidanzato con la cugina ventenne Maria Franco (detta Mariuccia) del paese vicino (oggi anch’esso disabitato) di Ferrazza.
Nel 1961 Devide Bellomo rimane l’unico abitante di Reneuzzi e scopre con orrore che la famiglia di Maria vuole trasferirsi via dalla Valle.
Questa volta parliamo di un paese nella parte più remota della Val Borbera, in provincia di Alessandria, ma non lontano dal confine ligure e da luoghi di cui abbiamo già parlato per altri motivi (come la Val Boreca). Si tratta di uno dei molti paesi abbandonati dell’Appennino, ma le sue particolarità lo differenziano dalla maggioranza degli altri paesi, sia perché si tratta di un paese con tanto di chiesa e cimitero (e quindi non una semplice frazione), ma soprattutto perché il suo nome è legato a un tragico fatto di cronaca sanguinario e alle apparizioni di un fantasma.
Stiamo parlando di Reneuzzi. Renèuzi, Renèusi o Renéixi in dialetto, si tratta di uno dei tanti paesi svuotati a causa dell’immigrazione del Secondo dopoguerra degli abitanti verso le città (o l’America) a causa del boom economico italiano e la nuova spinta industriale. Il paese conta quattro famiglie dopo il 1945, nel 1954 sono rimasti 18 abitanti, nel 1960 se ne contano solo 4. Tra questi c’è Davide Bellomo, un trentenne, probabilmente fidanzato con la cugina ventenne Maria Franco (detta Mariuccia) del paese vicino (oggi anch’esso disabitato) di Ferrazza.
Nel 1961 Devide Bellomo rimane l’unico abitante di Reneuzzi e scopre con orrore che la famiglia di Maria vuole trasferirsi via dalla Valle.
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martedì 21 febbraio 2017
In Irlanda c'è un lago infestato dai fantasmi che appare e scompare quando vuole
Noemi Penna
Nel corso dell'anno, senza una stagionalità precisa, capita infatti di costeggiare l'intero lago senza che una minima traccia d'acqua sia presente. E la sua «scomparsa» avviene così rapidamente e senza lasciare alcuna traccia tanto che in certi periodi potrebbe sembrare impossibile che proprio in quell'ansa le cartine indichino la presenza di un lago bello grosso.
Questo fenomeno non poteva che alimentare miti e leggende. Loughareema rappresenta infatti una delle leggende irlandesi che vengono raccontate ai bambini. La tradizione popolare vuole che nelle notti in cui le acque del lago raggiungono il livello massimo i fantasmi delle persone affogate infestino le sue coste. Fra loro anche quello del colonnello John Magee McNeille che, nel 1898, aveva un gran fretta di andare a Ballycastle per prendere un treno, tanto da ordinare al cocchiere di attraversare il lago, pensando che fosse poco profondo, causando l'annegamento di tutti i presenti.
Eppure una spiegazione alla scomparsa c'è. Questo lago sorge infatti sopra una cavità che conduce ad un canale naturale sotterraneo: quando il varco d'ingresso non è ostruito dalla torba, la gola rende possibile il completo assorbimento delle acque, che vengono condotte sottoterra. E il lago si riforma quando il canale si ostruisce nuovamente a causa delle forti piogge che caratterizzano la zona.
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lunedì 20 febbraio 2017
Il delitto di Cogne
30 gennaio 2002: Un delitto atroce. Un bambino di appena tre anni, Samuele Lorenzi, viene assassinato con 17 colpi di un misterioso oggetto contundente, sferratogli sulla testa, mentre per pochissimi minuti, otto al massimo, è rimasto da solo nella villetta di Montroz, frazione di Cogne, in Val d’Aosta. E’ lì che Samuele viveva assieme ai genitori - Stefano Lorenzi, perito elettrotecnico e Annamaria Franzoni, entrambi provenienti da famiglie abbienti, originarie del bolognese - ed il fratellino maggiore Davide.
A rinvenire il corpo ormai agonizzante del piccolo con il cranio sfondato è stata la mamma. Rapido quanto inutile l’intervento dei soccorsi: Davide è già cerebralmente morto. Finirà di vivere, anche clinicamente, poco dopo, all’ospedale di Aosta.
Chi ha ucciso Samuele?
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Il video
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venerdì 17 febbraio 2017
Cronache italiane - Il delitto dei coniugi Maso
È il protagonista di uno dei più clamorosi casi di omicidio a sfondo familiare della cronaca italiana. Aiutato da tre amici, il 17 aprile 1991 nella sua casa di Montecchia di Crosara uccise entrambi i suoi genitori, Antonio Maso e Mariarosa Tessari. La motivazione era intascare subito la sua parte di eredità. Arrestato il 19 aprile 1991, è stato condannato definitivamente a trent'anni di carcere, con il riconoscimento della seminfermità mentale al momento del fatto. Dopo averne trascorsi ventidue, è stato rimesso in libertà, per poi essere ricoverato in clinica psichiatrica dal marzo 2016. Ai suoi complici, Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza, è stata inflitta una pena di ventisei anni, mentre al minorenne Damiano Burato tredici.
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mercoledì 15 febbraio 2017
Il mistero dei Cerchi delle fate della Namibia potrebbe finalmente avere una spiegazione
Noemi Penna
E invece a creare questi bizzarri anelli che vanno dai due ai 12 metri di diametro contornati da un'alta frangia di erba pare siano le stesse piante che li circondano, non certo gli alieni. Una vegetazione molto «assetata» che cresce mettendo in competizione radice contro radice: un «braccio di ferro» che crea questa serie di enormi cicatrici nel deserto del Namib, anche con lo zampino delle termiti.
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lunedì 13 febbraio 2017
Giordania, scoperti 2000 disegni visibili solo dal satellite
Se le linee di Nazca, nel Sud del Perù, risalgono al periodo che va dal 300 a.C. e il 500 d.C., la scoperta che è stata fatta in Giordania è ancora più antica.
Dal satellite sono state scattate delle fotografie che mostrano alcuni giganteschi geroglifici. Talmente grandi che, da terra, l’occhio umano non è in grado di percepirli, ma che sono ben visibili dall’alto, a distanza di chilometri.
Scoperti durante la Prima Guerra Mondiale, solo secondo recenti studi risultano essere più antichi delle linee di Nazca.
Con l’impiego della cosiddetta luminescenza otticamente stimolata (OSL – Optically stimulated luminescence), gli archeologi hanno scoperto che una di queste ruote risale a 8500 anni fa, mentre un’altra, se pur risalente alla stessa epoca, risulta essere stata “ristrutturata” circa 5500 anni fa.
Di diverse forme e dimensioni, questi ‘segni’ si estendono dalla Siria allo Yemen e rappresentano un vero rompicapo per scienziati e archeologi.
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sabato 11 febbraio 2017
venerdì 10 febbraio 2017
mercoledì 8 febbraio 2017
Il delitto di Arce
L'omicidio di Serena Mollicone
Una
ragazza viene trovata morta, legata mani e piedi, in un bosco. Un
carrozziere trascorre 17 mesi in carcere per essere poi assolto. Un
carabiniere si suicida dopo aver rilasciato clamorose dichiarazioni agli
inquirenti. E’ la vicenda meglio conosciuta come il delitto di Arce, un
piccolo paesino della Ciociaria vicino Sora. Ne abbiamo parlato a Diritto di Cronaca.
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lunedì 6 febbraio 2017
Il delitto di Via Poma
29 coltellate per Simonetta Cesaroni
Simonetta Cesaroni, una bella ragazza di 21 anni,
figlia di un dipendente dell’azienda tranviaria comunale, viene trovata
senza vita attorno alle 22 e 30 di martedì 7 agosto 1990 a Roma, in
via Poma 2, quartiere Prati, dove lavorava come segretaria dell'AIAG,
l’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù.
A scoprire la tragedia sono la
sorella Claudia, il di lei fidanzato, il suo datore di lavoro e la
moglie di Pietrino Vanacore, il portiere dello stabile.
Il corpo della ragazza giace in
una stanza, supino, le gambe divaricate, senza mutandine, il reggiseno
sollevato, trafitto con 29 colpi d'arma bianca al volto, alla gola, al
tronco ed al basso ventre. L’arma utilizzata per il delitto - mai
ritrovata - è, probabilmente, un tagliacarte. La tempia destra
presenta un'ecchimosi, come se fosse stata colpita da un violentissimo
schiaffo a mano aperta. Sul seno ha un morso. Il corpo di Simonetta è
seminudo, ma la ragazza non è stata violentata. L'assassino ha portato
via, i suoi pantaloni, gli slip e la maglietta. Ai piedi ha ancora
delle calze bianche.
L’assassino, prima di fuggire, ha
cercato di ripulire l’appartamento del sangue di Simonetta. alcuni
stracci vengono ritrovati accuratamente sciacquati, strizzati e rimessi
al loro posto. Un gesto che può fare solo chi è intenzionato a
spostare il cadavere da quell’appartamento anche perchè, molto
probabilmente, lo stesso assassino a quell’appartamento è in qualche
modo legato.
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venerdì 3 febbraio 2017
L'omicidio di Nada Cella, un delitto senza perchè
E’ il 6 maggio 1996. Sono da poco passate le 9.00. Nada Cella, impiegata 24enne, viene trovata barbaramente assassinata nell’ufficio del suo datore di lavoro, il commercialista Marco Soracco, a Chiavari (GE).
La ragazza aveva appena aperto l’ufficio e acceso il computer. Presumibilmente, il suo assassino ha suonato alla porta e Nada, tranquilla, lo ha fatto entrare: la ragazza viene trovata con la testa fracassata da un oggetto contundente che - come spesso accade nei delitti di difficile soluzione - non sarà mai trovato.
E’ lo stesso Soracco a trovare la ragazza in fin di vita. La corsa al reparto rianimazione dell’ospedale S. Martino è inutile: Nada muore sei ore più tardi.
Sono i medici che soccorrono Nada a stabilire che la ragazza è stata vittima di una aggressione e non di un incidente, come inizialmente sembrava: scattano le indagini, ma nel frattempo - come purtroppo spesso ancora avviene - la scena del delitto è stata irrimediabilmente inquinata: le tracce di sangue sulle scale del palazzo sono state lavate, così come quelle lasciate nell’ufficio.
Le indagini si concentrano sul più facile dei sospettabili, cioè proprio il datore di lavoro di Nada, Marco Soracco. Il commercialista ha 34 anni, è laureato in economia e commercio e da qualche anno ha aperto a Chiavari uno studio molto avviato. Riservato, educato, scapolo e cattolico, vive con la madre e la zia nello stesso caseggiato dove si trova l’ufficio, al piano superiore. Il padre, scomparso due anni prima, era stato direttore del dazio e quindi responsabile dell’ufficio anagrafe del Comune di Chiavari.
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La ragazza aveva appena aperto l’ufficio e acceso il computer. Presumibilmente, il suo assassino ha suonato alla porta e Nada, tranquilla, lo ha fatto entrare: la ragazza viene trovata con la testa fracassata da un oggetto contundente che - come spesso accade nei delitti di difficile soluzione - non sarà mai trovato.
E’ lo stesso Soracco a trovare la ragazza in fin di vita. La corsa al reparto rianimazione dell’ospedale S. Martino è inutile: Nada muore sei ore più tardi.
Sono i medici che soccorrono Nada a stabilire che la ragazza è stata vittima di una aggressione e non di un incidente, come inizialmente sembrava: scattano le indagini, ma nel frattempo - come purtroppo spesso ancora avviene - la scena del delitto è stata irrimediabilmente inquinata: le tracce di sangue sulle scale del palazzo sono state lavate, così come quelle lasciate nell’ufficio.
Le indagini si concentrano sul più facile dei sospettabili, cioè proprio il datore di lavoro di Nada, Marco Soracco. Il commercialista ha 34 anni, è laureato in economia e commercio e da qualche anno ha aperto a Chiavari uno studio molto avviato. Riservato, educato, scapolo e cattolico, vive con la madre e la zia nello stesso caseggiato dove si trova l’ufficio, al piano superiore. Il padre, scomparso due anni prima, era stato direttore del dazio e quindi responsabile dell’ufficio anagrafe del Comune di Chiavari.
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martedì 31 gennaio 2017
Lo strano suicidio di Luigi Tenco
Resta e resterà per sempre un mistero.
La morte di Luigi Tenco è stato un suicidio o un omicidio? Di certo rimarrà l’emblema di una delle inchieste investigative più pasticciate e demenziali che si siano mai svolte in Italia.
L’inchiesta ufficiale, comunque, ha detto: suicidio. Concludendosi con un decreto di archiviazione che non lascia dubbi: nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967, il cantautore Luigi Tenco si tolse la vita con un colpo di pistola alla tempia destra nella stanza 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo. Durante le giornate del Festival.
Tenco aveva cantato in coppia con Dalida una canzone francamente brutta, “Ciao, amore ciao”. Poi, visibilmente depresso, era andato a cena con la stessa Dalida, il suo produttore Paolo Dossena e altri amici, ma giunto al ristorante aveva deciso di tornare in albergo. Da questo momento cominciano i pasticci investigativi.
“All’1.40 - ha scritto Aldo Fegatelli Colonna in una recente biografia - Tenco è ancora vivo. Dalida riferirà al commissario Molinari di essere entrata nella stanza di Tenco tra le 2.00 e le 2.10. Il dottor Borelli, che ne constata il decesso, è arrivato sul posto alle 2.45 e presume che la morte risalga a quindici-venti minuti prima al massimo, cioè non prima delle 2.25. Ci sono due “buchi”, uno di dieci minuti, l’altro di mezz’ora”.
La porta della stanza 219 è accostata e con la chiave nella toppa esterna.
Ai primi soccorritori Dalida appare mentre alza da terra il busto di Luigi e lo abbraccia. E’ un flash d’agenzia a diffondere la notizia della morte del cantautore, dando per certa la tesi del suicidio. Il primo inquirente a giungere sul posto è il vicedirigente del commissariato di Sanremo, Arrigo Molinari, il cui nome (detto per inciso), anni dopo, finirà nelle liste della P2.
Il cadavere, stranamente, viene subito trasferito all’obitorio e poi riportato in albergo, dal momento che gli investigatori si sono dimenticati (sembra incredibile!) di “fare effettuare i rilievi fotografici essenziali per la completezza del fascicolo da trasmettere alla Procura”.
Tenco è stato ucciso da un colpo di calibro 22, la stessa pistola che stringe in pugno, ma nella sua stanza viene trovata anche un’altra arma: una Walter Ppk. Salta fuori che la sera prima di morire Tenco aveva vinto al casino circa 6 milioni delle vecchie lire. Nella stanza del Savoy c’era solo un assegno da 100 mila lire di un collaboratore. Suicidio dunque o omicidio?
L’archiviazione, come detto, non ha esitazioni: suicidio.
Prima di morire Luigi Tenco scrive un biglietto che verrà riconosciuto come scrtto da lui da una perizia grafoscopica fatta, però, solo nel 1990, cioè ben 23 anni dopo la sua morte. Nel biglietto è scritto: “Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io, tu e le rose” in finale e una commissione che seleziona “La Rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.
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La morte di Luigi Tenco è stato un suicidio o un omicidio? Di certo rimarrà l’emblema di una delle inchieste investigative più pasticciate e demenziali che si siano mai svolte in Italia.
L’inchiesta ufficiale, comunque, ha detto: suicidio. Concludendosi con un decreto di archiviazione che non lascia dubbi: nella notte tra il 26 e il 27 gennaio 1967, il cantautore Luigi Tenco si tolse la vita con un colpo di pistola alla tempia destra nella stanza 219 dell’Hotel Savoy di Sanremo. Durante le giornate del Festival.
Tenco aveva cantato in coppia con Dalida una canzone francamente brutta, “Ciao, amore ciao”. Poi, visibilmente depresso, era andato a cena con la stessa Dalida, il suo produttore Paolo Dossena e altri amici, ma giunto al ristorante aveva deciso di tornare in albergo. Da questo momento cominciano i pasticci investigativi.
“All’1.40 - ha scritto Aldo Fegatelli Colonna in una recente biografia - Tenco è ancora vivo. Dalida riferirà al commissario Molinari di essere entrata nella stanza di Tenco tra le 2.00 e le 2.10. Il dottor Borelli, che ne constata il decesso, è arrivato sul posto alle 2.45 e presume che la morte risalga a quindici-venti minuti prima al massimo, cioè non prima delle 2.25. Ci sono due “buchi”, uno di dieci minuti, l’altro di mezz’ora”.
La porta della stanza 219 è accostata e con la chiave nella toppa esterna.
Ai primi soccorritori Dalida appare mentre alza da terra il busto di Luigi e lo abbraccia. E’ un flash d’agenzia a diffondere la notizia della morte del cantautore, dando per certa la tesi del suicidio. Il primo inquirente a giungere sul posto è il vicedirigente del commissariato di Sanremo, Arrigo Molinari, il cui nome (detto per inciso), anni dopo, finirà nelle liste della P2.
Il cadavere, stranamente, viene subito trasferito all’obitorio e poi riportato in albergo, dal momento che gli investigatori si sono dimenticati (sembra incredibile!) di “fare effettuare i rilievi fotografici essenziali per la completezza del fascicolo da trasmettere alla Procura”.
Tenco è stato ucciso da un colpo di calibro 22, la stessa pistola che stringe in pugno, ma nella sua stanza viene trovata anche un’altra arma: una Walter Ppk. Salta fuori che la sera prima di morire Tenco aveva vinto al casino circa 6 milioni delle vecchie lire. Nella stanza del Savoy c’era solo un assegno da 100 mila lire di un collaboratore. Suicidio dunque o omicidio?
L’archiviazione, come detto, non ha esitazioni: suicidio.
Prima di morire Luigi Tenco scrive un biglietto che verrà riconosciuto come scrtto da lui da una perizia grafoscopica fatta, però, solo nel 1990, cioè ben 23 anni dopo la sua morte. Nel biglietto è scritto: “Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io, tu e le rose” in finale e una commissione che seleziona “La Rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.
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mercoledì 25 gennaio 2017
Il mondo finirà nel 2017: arriva l'eclissi dell'Apocalisse
L'eclissi solare totale che interesserà gli USA nell'agosto 2017 dovrebbe segnare l'inizio dell'Apocalisse
Il 21 agosto del 2017 è prevista una grande eclissi di Sole che, secondo alcuni teorici, segnerà l’inizio dell’Apocallise e la conseguente fine del mondo. L’eclissi sarà totale in tutti gli Stati Uniti, e sarà la prima volta in oltre un secolo che gli interi USA resteranno al buio. Quanto basta secondo alcuni per prendere in mano l’ultimo libro della Bibbia, l’Apocallise di Giovanni, e cercare i segni della fine del mondo. Effettivamente nel testo, noto anche come Libro delle Rivelazioni, si parla di una donna incinta, vestita di raggi di Sole e con la Luna ai suoi piedi. La donna sarà cacciata da un drago a sette teste, che vorrà mangiarne il figlio, ma verrà salvata da un esercito di angeli.Bisogna sottolineare che lo stesso libro dice chiaramente che nessuno può conoscere la data esatta dell’Apocalisse, ma ad ogni insolito fenomeno celeste c’è sempre qualcuno che lancia moniti allarmistici. Nel 2017 cadrà però anche un anniversario che suona come una sinistra coincidenza: lo stato di Israele, istituito nel 1947 dopo la Seconda Guerra Mondiale, compirà 70 anni, la durata esatta di una generazione biblica. Pare che anche un rabbino del XII secolo, Judah Ben Samuel, abbia predetto la fine del mondo per il 2017.
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mercoledì 4 gennaio 2017
Approfondimenti su leggende, miniere e ... misteri della Garfagnana
La recente trasmissione Mistero, con
un servizio sulle miniere del Trimpello di Fornovolasco e la
partecipazione di alcuni membri della nostra associazione, ci ha donato,
nel bene e nel male, qualche giorno di focus mediatico.
Senza
dubbio le esigenze di copione e lo spirito della trasmissione hanno
portato ad esagerare e caricare oltre misura alcuni aspetti; tuttavia
per alcuni giorni c’è stata un’attenzione particolare sulle Miniere e
sulla Chiesaccia; per quest’ultima speriamo semmai che qualcuno si
decida a mettere in atto gli opportuni interventi di recupero,
altrimenti tra qualche anno non rimarranno nemmeno i ruderi.
La nostra associazione, come insito
nel nome che ci siamo dati (il Buffardello è il folletto della
Garfagnana), ha dedicato fin dalla nascita molte energie allo studio ed
all’approfondimento delle leggende nella tradizione popolare.
In
questo senso riteniamo opportuno fare alcune precisazioni. In
riferimento alla leggenda della Chiesaccia, si precisa che nella
tradizione popolare locale si parla al massimo di monaci che depredavano
i viandanti, sicuramente non di cannibalismo, fenomeno riferito semmai
in alcune storie dell’Appennino Tosco Emiliano.
Alcune
considerazioni merita anche la leggenda relativa al crollo di una
miniera, con relativa sepoltura dei minatori, che sarebbe avvenuta
alcuni secoli fa; il fatto, secondo la leggenda popolare, sarebbe
avvenuto nella miniera del Balzone (attualmente è conosciuto come
Balzone una cascata d’acqua lungo il Canale delle Randine, affluente di
dx della Turrite di Gallicano).
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domenica 1 gennaio 2017
Il pianeta dei misteri, la 7 cose più strane trovate su Marte
Piramidi, figure umane e persino un cucchiaio... Marte non smette di affascinare con i suoi misteri
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Segnali di fumo da Marte
C’è vita su Marte: ecco il video della Nasa che lo dimostrerebbe
venerdì 30 dicembre 2016
Scienziato italiano dimostra che c’è vita dopo la morte. Ufficiale.
Si chiama Federico Nicce, ed è uno scienziato tedesco naturalizzato italiano, che è riuscito a dimostrare l’esistenza di Dio. Qualcosa di unico al mondo, già caso di studio all’università della Death Valley, in America, Texas. Il professor Nicce, 35enne, ricercatore da circa otto anni, ha mostrato, in obitorio, come l’anima possa essere mostrata a tutti tramite una telecamera a circuiti infrarossi arabi, un particolare circuito di infrarossi sperimentato in quelle zone, progetto a cui ha collaborato lo stesso Nicce:
“In pratica, l’infrarosso arabo è capace di attraversare importanti barriere fisiche, spaziare in quel limbo ultraterreno, che nel nostro campo chiamiamo “asse mediano vitale”, ossia il momento successivo alla morte, al momento in cui il corpo spira. Bene, la telecamera tramite particolari sensori, riesce a riprendere l’anima che si sposta dal corpo verso l’alto per poi svanire a un cento punto dell’alzata. Qualcosa di incredibile che finalmente mostra l’esistenza di una vita ultraterrena“. Federico Nicce parla così e spiega, scherzando, che, con una scoperta come questa, anche “Dio è morto”, e beh, c’è poco da fare, effettivamente in un sistema come questo, sempre che la scienza non si muova in direzioni diverse, l’esistenza di Dio sembra l’ipotesi più plausibile e la sua affermazione ironica, giunge quasi per antitesi. Nei prossimi giorni molti sono gli scienziati che vorranno conoscere Federico, il 35 enne che ha praticamente cambiato le sorti di tutto il mondo, e speriamo di non perdere mai un cervello brillante come il suo.
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